BRUXELLES, 22 MARZO 2016 - ATTACCO ALL''AEROPORTO ZAVENTEM
BRUXELLES, 22 MARZO 2016 - ATTACCO ALL''AEROPORTO ZAVENTEM BRUXELLES, 22 MARZO 2016 - ATTACCO ALL''AEROPORTO ZAVENTEM BRUXELLES, 22 MARZO 2016 - ATTACCO ALL'AEROPORTO ZAVENTEM EDITORIALE di Aviation Security International, Marzo 2016

BRUXELLES, 22 MARZO 2016 - ATTACCO ALL'AEROPORTO ZAVENTEM

EDITORIALE di Aviation Security International, Marzo 2016

Pochi esperti di security possono dire di essere rimasti sorpresi dalle atrocità perpetrate contro l’aeroporto e la metropolitana di Bruxelles il 22 marzo 2016; né per i target scelti, né per il metodo di attacco, né tantomeno per la volontà di taluni individui di suicidarsi in quel modo.

Per quanto riguarda gli autori, sappiamo che erano solo alcuni delle migliaia di individui che hanno subito un lavaggio del cervello e sono pronti a morire nel nome dello Stato Islamico. Ve ne sono molti altri che vorrebbero volentieri rispondere alle chiamate all’azione da parte di leader, insegnanti e guide spirituali che stanno infettando i loro seguaci vulnerabili con le loro ideologie distorte e le promesse dell’esistenza di un paradiso nell’aldilà.

 Il fenomeno della radicalizzazione deve essere considerato con attenzione per proteggere la società; occorre allertare i ragazzi e le loro famiglie sui pericoli degli influenzatori fondamentalisti e incoraggiare una cultura della segnalazione.  Molti stati ora hanno sviluppato programmi e procedure efficaci, ma non dovremmo compiacerci. Navigando in internet i capri espiatori sembrano le migliaia di innocenti e disperati migranti che fuggono da zone di guerra del Medio Oriente e dell’Africa verso l’Europa. E’ possibile che tra di loro ci siano degli individui radicali che fingono di essere vittime di conflitti ma che in realtà stanno usando la crisi per nascondere i loro movimenti verso i loro target, come abbiamo visto in Belgio; ci sono però anche coloro che sono nati e cresciuti in Europa pronti ad uccidere i loro connazionali. Dobbiamo in realtà, in parte, trovare un modo per accogliere ed integrare i migranti in modo che le future generazioni non si sentano alienate ed esprimano la loro disperazione commettendo atti di violenza.

Gli atti di terrorismo contro l’aviazione stanno diventando sempre più semplici. I controlli di sicurezza sono sicuramente percepiti come un’efficace contromisura, perciò coloro che hanno cattive intenzioni devono o superarli o attaccare prima del controllo di sicurezza.

In superficie, la soluzione semplice potrebbe essere spostare l’esistente checkpoint all’entrata del terminal oppure aggiungere un checkpoint per controllare le persone che entrano nel terminal.

Sarebbe non vedere abbastanza in là se ciò consistesse nel collocare soltanto macchine a raggi x e metal detector per le ispezioni di routine.

Il numero di persone che vengono controllate ora che si muovono dalla landside all’airside è di gran lunga inferiore rispetto a quello che dovremmo controllare all’entrata del terminal – si potrebbero creare delle lunghe code ed un nuovo target.  Dobbiamo evitare di creare situazioni in cui grandi numeri di persone si riuniranno in un unico luogo.

Nel 2007 l’attacco all’aeroporto di Glasgow causò una sola vittima – un terrorista – quando un veicolo carico di liquido esplosivo fu guidato contro il terminal; immaginate quanto più elevato avrebbe potuto essere il numero delle vittime se ci fosse stata una coda di persone in attesa di entrare in quel momento nel terminal.

I controlli aggiuntivi alle entrate degli edifici possono essere validi – non soltanto aeroporti, ma anche stazioni ferroviarie, centri commerciali, stadi e teatri -  ma si deve fare in modo che non siano checkpoint routinari che rallentino l’accesso o l’uscita.

Quindi quali tipi di controlli andrebbero fatti?

Analisi del comportamento.

Sia che abbiamo a che fare con una minaccia interna come è il caso della Daallo Airlines e anche della Metrojet, sia si tratti di un pilota suicida in stile Germanwings, un suicida con l’ordigno negli slip in stile Northwest Airlines o un attacco diretto in stile Zaventem, esso è l’unico metodo che permette di affrontare le minacce di oggi e molte di quelle future. Molti aeroporti usano queste tecniche – ma i programmi sono spesso annacquati fino al punto da diventare inefficaci.  Esempi di questo sono: avere soltanto una o due persone che piantonano negli orari di picco, ammesso che i loro servizi non siano richiesti altrove, delegando la responsabilità alla polizia, permettendo agli addetti di stare fermi e chiacchierare tra di loro mentre invece dovrebbero eseguire la loro sorveglianza.

I legislatori vedono spesso l’analisi comportamentale con sdegno perché è una tecnica soggettiva difficile da testare; la prova diventa ancor più difficile se si tratta di una procedura che facciamo solo ogni tanto con livelli di personale inadeguato.  Costa? Sicuramente sì, ma qual è il costo del fallimento? Pensate al controllo doganale: i funzionari prendono da parte soltanto coloro che ritengono di un qualche ‘interesse’. La dogana e le agenzie di quarantena usano unità canine nella hall di riconsegna bagagli e spesso con successo. Perché non potremmo fare la stessa cosa quando le persone arrivano in aeroporto? Ad ogni attacco i media chiedono ‘perché gli aeroporti non possono essere più simili all’Aeroporto Internazionale Ben Gurion di Tel Aviv?’

Ci sono delle lezioni da imparare, innanzitutto il buon senso. Vi è molto che semplicemente non può essere replicato – ogni veicolo deve rallentare all’entrata in aeroporto in modo che all’autista e al passeggero possa essere fatto il profiling per esempio.  Se dovessimo fare questo a Londra Heathrow il traffico comincerebbe dal centro di Londra e lungo l’autostrada M4 verso il Galles! Da notare però che né i passeggeri né le persone in generale che non volano sono controllate con qualche tipo di tecnologia quando entrano il terminal di Tel Aviv; sono osservati, alcuni – sulla base dell’analisi comportamentale – sono interrogati e, una volta che sono all’interno ci sono squadre di funzionari vestiti in modo ordinario che perlustrano le aree pubbliche. Questo è fattibile negli aeroporti del mondo intero. E’ una questione di investimenti, addestramento, disciplina e volontà.

I tre uomini che appaiono alle camere del circuito chiuso dopo l’attacco a Bruxelles avrebbero potuto benissimo destare preoccupazione se avessero provato ad entrare all’aeroporto Ben Gurion – non a causa della loro razza o religione, non sappiamo se fossero nervosi, ma poiché la maggior parte delle persone che ha bagaglio da stiva ha anche bagaglio a mano e per tre persone – due delle quali avevano soltanto un guanto invece che due – sarebbe stato valutato come un’anomalia, una deviazione dalla norma.

Ma questo si può identificare soltanto se c’è un numero adeguato di persone totalmente all’erta, con nessun altro compito, dispiegati su tutto il terminal, o almeno alle entrate, alle corsie dei taxi, ai terminal degli autobus e ai binari della stazione dell’aeroporto.

Dobbiamo anche capire i modi in cui la tecnologia può aiutarci al meglio nel monitoraggio delle aeree pubbliche. Le camere a circuito chiuso intelligenti ci permettono ora di rilevare automaticamente una persona che sta camminando in senso opposto rispetto al flusso regolare e, come tale, ha applicazioni per il controllo accessi. Può anche essere d’aiuto rilevare individui che rimangono fermi in un posto per lunghi periodi mentre la folla circostante si muove, il che ci fa allertare per il fatto che qualcuno sta eseguendo una sorveglianza. Anche alcuni modelli di comportamento insoliti, come camminare avanti e indietro o anche entrare in edifici non seguendo la direzione tradizionale degli utenti dell’aeroporto (normalmente verso il check-in o un chiosco oppure verso i bagni) può essere inserito nel sistema di allerta automatico delle telecamere a circuito chiuso. Nel frattempo un software di riconoscimento facciale può aiutare nell’identificazione di criminali noti o altre persone di cui preoccuparsi; una tecnologia di analisi d’avanguardia può allertare le autorità nei confronti di un potenziale terrorista suicida che si sta avvicinando ad un edificio o ad un checkpoint,se indossa un giubbotto esplosivo, il cui peso influenzerà un modello di andatura normale; e i termografi facciali possono essere utilizzati non solo dai funzionari in caso di quarantena per rilevare febbre e condizioni mediche, ma anche dalle unità di sicurezza per identificare dei punti di calore associati a stress e tentativi di sotterfugio, e per diagnosticare anormalità riguardo allo stato emotivo di una persona. Tutte queste soluzioni sono designate per scansionare le persone a distanza.

La dura verità è che è fin troppo facile criticare Zaventem per il proprio fallimento nel prevenire il recente attacco quando avrebbe potuto succedere nella maggior parte degli aeroporti del mondo.

Si tratta di uno scenario di attacco che è molto probabile si ripeterà e che i checkpoint di screening tradizionali faranno fatica a prevenire.

Sebbene non possiamo garantire la sicurezza, possiamo rendere gli aeroporti un target meno attraente. Per fare questo dobbiamo ridurre la prevedibilità del processo di screening e aumentare la varietà dei metodi per identificare intenti negativi; la risposta sta in pattugliamento con cani, analisi comportamentale e nell’investimento di Ricerca e Sviluppo necessario per convertire alcune delle tecnologie di concetto in soluzioni mature e applicabili.

Sebbene dobbiamo fare dei passi per ridurre la vulnerabilità di un attacco, dobbiamo anche dimostrare la nostra capacità di ripresa e provare, il più possibile, a ritornare alla ‘normalità’. Un meraviglioso esempio in questo senso si è recentemente visto in Costa d’Avorio, dove il 13 marzo di quest’anno un uomo armato di al-Qaeda del Maghreb Islamico ha ucciso 19 persone sulla spiaggia nel resort di Grand Bassam. Solo 11 giorni dopo i musicisti ivoriani si sono riuniti sulla stessa spiaggia e hanno registrato una videocanzone intitolata Même Pas Peur (Non ho paura), che ora è una hit su YouTube (www.youtube. com/watch?v=b9OcCdB5_NM). La canzone dice “In Costa d’Avorio stiamo ritti sulle nostre gambe” e il video mostra i turisti che si godono la spiaggia e il mare.

Gli aeroporti possono anche prendere delle misure segrete per innalzare la security evitando di introdurre controlli standardizzati che contribuiscono soltanto a creare un clima di paura.