Diventare martiri su Twitter
Diventare martiri su Twitter Diventare martiri su Twitter Diventare martiri su Twitter Lorenzo Vidino

Diventare martiri su Twitter

Lorenzo Vidino

Un libro traccia il profilo dei giovani fondamentalisti di seconda e terza generazione che vivono nel nostro paese. Alcuni sono morti in Siria. Di altri si sono perse le tracce

Hanno tra i 16 e i 30 anni. Spesso non parlano arabo perché sono italiani di seconda e terza generazione, vivono per lo più nel Nord Italia, la maggior parte si è convertita e tutti sono costantemente connessi. Il loro obiettivo è andare a combattere la guerra santa in Siria. Alcuni di loro sono riusciti ad arruolarsi e sono morti. Mentre di altri non si hanno più notizie da mesi. È questo il ritratto dei jihadisti italiani, i guerriglieri della Guerra Santa che vogliono l’imposizione della sharia e la costituzione di un califfato mondiale sotto l’egida di Al Qaeda. Giovani aspiranti martiri che sognano di andare a combattere e morire per Allah in Siria. E se arrivare al confine tra la Turchia e la Siria via Gaziantep non è per nulla difficile (bastano pochi euro e un volo low cost), più difficile è per loro trovare il contatto giusto per partire e qualcuno che garantisca ai capi di Al Qaeda che non si è una spia e un infiltrato.

A tracciare il profilo di questi personaggi è Lorenzo Vidino, esperto di terrorismo islamico, in un libro dal titolo «Il jihadismo autoctono in Italia: nascita, sviluppo e dinamiche di radicalizzazione» con la prefazione di Stefano Dambruoso edito da Ispi ed European Foundation For Democracy. La premessa d’obbligo, secondo Vidino, è che l’evoluzione del fondamentalismo islamico nel nostro Paese è abbastanza atipica. «Negli anni ’90 la scena jihadista italiana era molto attiva, caratterizzata dalla presenza di vari gruppi nordafricani. Milano era un punto di partenza per la Guerra Santa in Bosnia e non solo. Poi, all’inizio del 2000, mentre tutta Europa la minaccia dei network jihadisti aumentava sempre di più, le cose cambiano e lo scenario italiano diventa più tranquillo», spiega l’autore dell’analisi. Il motivo? «Innanzitutto l’Italia vive un ritardo rispetto ai flussi migratori europei, le sue città non hanno quartieri ghetto come quelle olandesi, belghe o francesi». Ma non solo. La scarsa presenza di guerriglieri islamici si spiega anche con network poco organizzato. Uno scenario che però potrebbe cambiare. «I jihadisti italiani difficilmente scoprono la Guerra Santa in moschea. È su internet che il loro fanatismo si nutre e si forma». Tra social network, profili, immagini e video è infatti molto facile entrare in contatto con la sharia. E i soggetti che decidono di diventare martiri di Allah sono per lo più isolati privi di altri contatti. «Non vengono arruolati da qualcuno», sottolinea Vidino. Ma si tratta per lo più di auto arruolamento. E il motivo di questo comportamento è molto semplice: gli anziani delle comunità islamiche radicali difficilmente infatti danno credito a questi giovani inesperti, così loro si rivolgono a internet. Risultato, trovare un contatto per partire per la Siria (il teatro jihadista più attivo del momento) è difficile».

Qualcuno però ci è riuscito. Così mentre sale esponenzialmente il numero di giovani europei che partono per la Siria (si parla di 6oo tra inglesi e francesi, 250 tedeschi, 220

belgi e 110 olandesi), per l’Italia si tratterebbe di una decina di casi. Di questi tre sono particolarmente interessanti. «Entrare in Al Qaeda, ha detto qualcuno, è un po’ come entrare ad Harvard», spiega Vidino. «Questi soggetti hanno faticato a trovare qualcuno che garantisse per loro presso i leader di Al Qaeda». Una delle storie più interessanti è quella di Anas el Abboubi. Anas nasce in Marocco nel 1992 e arriva in Italia, nel bresciano, a 7 anni. Fa il rapper, parla con accento bresciano. Ma la musica non è la sua unica passione. Passa molto tempo in rete e tutti i giorni consulta i profili di Sharia4Belgium, network belga. Vuole formare Sharia4Italy e partire per la Siria con l’obiettivo di arruolarsi nelle file di Al Qaeda. «Fa attivismo, cosa che di per sé non costituisce un reato», sottolinea Vidino. Ad un certo punto va in Questura e chiede il permesso per tenere una manifestazione e bruciare una bandiera americana. A quel punto la Digos inizia a tenerlo sott’occhio. Ma basta andare sulla sua pagina Facebook per rendersi conto che Anas vuole morire per Allah. Dato che non riesce a partire, inizia a fare dei sopralluoghi con Google Maps per cercare obiettivi sensibili come la caserma di Brescia. Viene arrestato in base all’articolo 270 quinquies che prevede l’arresto per chi pratica attività di addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale. Ma dopo 15 giorni il Tribunale del Riesame decide la sua scarcerazione. «Siamo nel luglio del 2013, a questo punto Anas esce, entra in contatto con un network di albanesi che lo porta in Siria, probabilmente ad Aleppo», racconta Vidino. Arrivato in Siria cambia nome anche sul suo profilo Facebook e posta messaggi a favore della jihad e contro l’Italia. Poi in gennaio, improvvisamente, la sua bacheca diventa muta. E di lui si perdono le tracce. Impossibile sapere se sia morto, se sia ancora in Siria o se sia tornato indietro.

Mohamed Jarmoune ha 20 anni. Anche lui vive nel bresciano ed è di origini marocchine. E’ timido, introverso, ma ha amici italiani. A 16 anni gli scatta la molla e inizia a navigare sui siti jihadisti. Crea un blog, una propria pagina Facebook ed entra in contatto con pezzi grossi della jihad. «Ad un certo punto Jarmoune si trasforma da jihadista tastiera, come vengono chiamati in gergo coloro che sono attivi solo sul web, in jihadista attivo e inizia a fare sopralluoghi in rete sulla comunità ebraica di Milano e sulla scuola ebraica di via Arzaga. Consulta in rete anche i listini per fabbricare esplosivi». Anche lui viene arrestato in base al 270 quinques. Ma a differenza di Anas è ancora in carcere. «Diverso da tutti è il caso Ibrahim Giuliano Delnevo, perché si tratta di un ragazzo italiano», sottolinea Vidino. Giuliano nasce nel 1983 da genitori italiani. Mamma e papà si separano e forse è questo a turbarlo di più, è un ragazzo problematico, sicuramente poco inserito. A 18 ani si converte all’Islam e inizia un cammino di progressiva radicalizzazione. Anche lui come Anas e Mohmed cerca di creare, senza successo, un network di jihadisti. Ma non trova terreno fertile e nessun membro della comunità islamica gli dà credito. Così inizia a viaggiare, si sposa con una ragazza marocchina e inizia ad accarezzare l’idea di andare a combattere in Siria. Va una prima volta a Gaziantep, al confine tra Siria e Turchia ma non riesce ad entrare. Torna a Genova, si taglia la barba che nel frattempo si era fatto crescere e sembra aver ritrovato un suo equilibrio. Ma qualche mese dopo riparte per la Siria. E questa volta riesce a varcare il confine e ad arruolarsi. Poi chiama il padre su Skype e lo informa della sua decisione di combattere per Allah. Muore 6 mesi dopo. Sempre il padre riceverà una telefonata dal numero del figlio in cui una voce in inglese si congratula con lui: «Tuo figlio è un martire». E se è solo possibile immaginare la disperazione dei genitori di questo ragazzo, è certo che Giuliano Delnevo non è il solo straniero ad aver deciso di partire per uno dei teatri di guerra più sanguinosi di questi ultimi anni. Conclude Vidino: «In Italia al momento è possibile ipotizzare che siano 300/400 i simpatizzanti jihadisti e non è detto che lo scenario, fin qui relativamente poco prolifico, possa cambiare»