L''esperto di terrorismo: "Coraggio, dopo Bruxelles prepariamoci ad altri attacchi"
L''esperto di terrorismo: "Coraggio, dopo Bruxelles prepariamoci ad altri attacchi" L''esperto di terrorismo: "Coraggio, dopo Bruxelles prepariamoci ad altri attacchi" L'esperto di terrorismo: "Coraggio, dopo Bruxelles prepariamoci ad altri attacchi" L’ESPRESSO - 25 marzo 2016

L'esperto di terrorismo: "Coraggio, dopo Bruxelles prepariamoci ad altri attacchi"

L’ESPRESSO - 25 marzo 2016

Parla Claude Moniquet, direttore dell'European Strategic Intelligence and Security Center e considerato uno dei massimi conoscitori del fenomeno della radicalizzazione islamica in Europa e in particolare in Belgio

Padre belga, madre francese, prima giornalista esperto dei Balcani, quindi membro dei servizi segreti francesi, Claude Moniquet dal 2002 dirige l’European Strategic Intelligence and Security Center . È considerato il massimo esperto di terrorismo in Belgio, ci riceve nel suo ufficio tra carte geografiche cimeli di guerra, 
libri e modelli di carri armati e soldatini.

Moniquet, perché il Belgio è finito nell’occhio del ciclone degli islamisti?
«Da un po’ di tempo il Belgio è un obiettivo del radicalismo islamico. Nel gennaio 2015 sono stati abbattuti due terroristi a Verviers quando si apprestavano a realizzare 
un attentato. Quindi gli arresti a Bruxelles, quando un commando di dieci persone 
si preparava a realizzare un attentato 
con armi pesanti. C’era un rischio molto importante, che si è concretizzato oggi».

Da dove nascono i problemi del Belgio?
«Il Belgio come la Francia ha avuto 
problemi di integrazione. Ha una comunità musulmana importante, più o meno 
il 10 per cento della popolazione, come in Francia. E non si è agito con la necessaria decisione contro il movimento salafita. 
Ci sono jihadisti potenziali in tutti i Paesi, 
in Italia pochi, in Spagna pochi, in Francia molti, è il primo esportatore in termini assoluti per l’Is, e molti anche in Belgio, 
il primo in termini relativi. La situazione sociale, politica e demografica indicava questi rischi e la risposta dello Stato è stata troppo debole. Poi non va dimenticato l’aspetto logistico, Bruxelles è un centro del traffico di armi, che provengono dai Balcani, e di documenti falsi. Le reti jihadiste usano quelle criminali e quelle criminali fanno affari coi terroristi».

Ha giocato un ruolo l’arresto di Salah Abdeslam?
«L’arresto ha potuto forse accelerare gli attentati. I terroristi 
avranno pensato: c’è il rischio che parli 
(ed evidentemente non l’ha fatto). 
O che la polizia potesse seguire le piste 
da lui lasciate. L’arresto non spiega 
gli attentati, ma li ha accelerati».

Quanto ci vuole per organizzare un doppio attacco come questo?
«Andando rapidi, due-tre settimane, 
ma direi piuttosto tra le tre settimane 
e i quattro-cinque mesi, dipende da fattori che non conosciamo ancora: le armi usate, gli esplosivi, se erano artigianali come quelli di Parigi, quanti attori erano coinvolti. Sappiamo di tre, la polizia ne cerca altri».

È stata quindi la cellula di Salah ad agire?
«Parrebbe proprio di sì. Quando Salah è stato quasi arrestato a Forest il 15 marzo era con Mohamed Balkaid, un attore importante degli attentati di Parigi del 13 novembre, ed erano armati. E a Forest sono poi stati trovati due detonatori. Che hanno bisogno di una bomba, ma sono un indizio. Quando Salah è stato preso il 18 era con Amin Choukri. Salah nei mesi prima dell’attentato viaggiava ovunque, 
in Italia, Ungheria, Austria, Balcani. Porta e prende con sé uomini che parteciperanno poi agli attentati di Parigi, come l’artificiere Naijm Laachraoui, il terzo uomo delle stragi di Bruxelles. Choukri che non partecipa, non appare, quindi poteva esser qui per preparare altri attentanti».

Oltre a quella di Salah, secondo lei ci sono altre cellule in Belgio?
«È possibile che ce ne siano altre, alcune attive altre dormienti. Rassegnamoci: siamo in una fase di guerra che è destinata a durare a lungo».

I quattro mesi di latitanza di Salah sono una prova ulteriore delle difficoltà del Belgio ad affrontare il problema?
«Penso che non sia significativa la sua latitanza. In Sicilia boss mafiosi hanno vissuto 30 anni a casa loro, Mengele 
è stato ricercato per 40 anni dalle polizie
 di tutto il mondo...Quattro mesi per chi 
ha sostegno logistico non sono tanti, non significa che la polizia abbia mal lavorato. 
O almeno lo ha fatto male come le polizie francesi o americane...».

Molenbeek ha protetto Salah?
«È stata la rete criminale ad aiutarlo, ma questa rete è a contatto con la rete del radicalismo. L’ultimo che l’ha ospitato, Amid Aberkam, è un radicale con una zia condannata a cinque anni perché reclutava gente per la Siria».

Uno dei due attacchi è avvenuto a poche centinaia di metri dal cuore della Ue. LUe conta qualcosa per i terroristi?
«Non è solo il Belgio, la rivendicazione dell’Is è chiara. Parla del Belgio che 
da qualche tempo partecipa agli attacchi contro di loro, ma al tempo stesso parla di Ue, di Nato. È l’Occidente a essere colpito. Una delle esplosioni all’aeroporto 
di Bruxelles è avvenuta vicino ai banchi 
di una compagnia statunitense».

E l’Italia, rischia grosso secondo lei?
«I Paesi più a rischio sono Francia, Belgio e Gran Bretagna ma nel Regno Unito è difficile, è un’isola, è più complesso entrare. Poi altri due Paesi marginali sono minacciati, Spagna e Italia, per ragioni simboliche. La Spagna per l’idea de “el Andalus”, la rivincita sulla Reconquista e l’Italia per il Papa. L’Italia non ha un grande problema di islamismo radicale, qualche decina in Siria, la Spagna ha invece 
una maggior presenza di salafiti».

Un’azione militare in Libia cambierebbe il livello di rischio per lItalia?
«Sicuramente, se l’Italia guidasse un’operazione in Libia cambierebbero immediatamente le cose, di colpo l’Italia finirebbe in prima linea».